La regina Loana e i cortocircuiti della memoria – Umberto Eco e la narrativa atto V

La misteriosa fiamma della regna Loana

 

di Alessandro Milani

Dopo la pubblicazione (spesso accompagnata dal successo editoriale di critica e pubblico) de Il nome della rosaIl pendolo di FoucaultL’isola del giorno prima e Baudolino, l’approccio/apporto alla narrativa da parte di Eco si concretizza in un romanzo autobiografico, La misteriosa fiamma della regina Loana.
Dietro il protagonista Yambo, libraio antiquario di origine piemontese che vive a Milano, non si fa infatti fatica alcuna a rintracciare la figura dell’autore.

In estrema sintesi la trama del romanzo narra di un antiquario di mezza età che, nel momento in cui si riprende da un malore, scopre di non ricordare nulla, o meglio, di aver perso una parte della propria memoria, quella legata ai ricordi personali, al vissuto, quella che viene definita come memoria “autobiografica”.
Per cercare di recuperarla torna nella casa di campagna dei nonni, sulle colline del Piemonte, dove visse gran parte della propria fanciullezza, a cavallo della Seconda Guerra Mondiale.
Qui, cercando tra le vecchie casse del nonno (a sua volta una figura di rigattiere/antiquario/collezionista), trova sia i libri/fumetti/riviste che leggeva da piccolo, sia i propri quaderni, fotografie e oggetti personali.
La memoria comincia a tornare, ma non in modo immediato e continuo, ma per flash, o meglio a fiammate (facendo riferimento a uno dei molteplici significati del termine usato nel titolo) e l’anziano Yambo fa conoscenza di sé stesso da giovane.
La ricerca della propria identità perduta incontra parecchi ostacoli, ma questo lo lasciamo volentieri scoprire al lettore, che altrimenti troverebbe poco altro di godibile nel romanzo.

La misteriosa fiamma della regna Loana

La trama infatti sembra avvincere, ma ben presto s’inceppa in un meccanismo un po’ farraginoso che si regge su un’unica trovata letteraria (il “cammino” a ritroso nel tempo alla ricerca della memoria perduta), congeniale forse per un racconto breve, ma che si dimostra invece fragile e inadeguata a sostenere uno svolgimento di oltre 400 pagine.
Il romanzo si difende finché può facendo una panoramica su un ventennio di memoria collettiva, raccontandone canzoni, trasmissioni radiofoniche e libri, riviste e fumetti: si tratta naturalmente di una panoramica che non è esaustiva né vuole esserlo, ma è l’escamotage del quale Eco si serve per contestualizzare la vicenda del se stesso bambino/ragazzo e per raccontarci quali letture lo abbiano formato, da quelle più serie a quelle più divertenti.

E qui si potrebbe obiettare che, forse, di fronte alla possibilità di scoprire quali letture abbiano influenzato uno dei più importanti e stimati (anche da chi scrive) intellettuali italiani, sia deludente arrivare ad avere l’elenco di libri e riviste letti da Eco soltanto dai sei ai sedici anni.
Queste “rivelazioni” non ci dicono granché, infatti, delle passioni successive dell’autore, fatta salva forse quella per il fumetto, ancor oggi bistrattato da molti maitres a penseè italiani, e che invece Eco ha sempre dimostrato di apprezzare come forma letterale e culturale a pieno titolo (firmando per esempio numerose introduzioni a volumi di fumetti, anche di autori sconosciuti come una raccolta di fumettisti cinesi edita in Italia negli anni ’70).
Ma la critica più forte che mi preme di rivolgere a Eco non è relativa a questa riluttanza a raccontare la propria formazione successiva (tema che in ogni caso spero tratti in seguito, sotto forma narrativa o saggistica), ma il non credere fino in fondo in un libro autobiografico di ricordi.

Cerco di spiegarmi meglio: quando Yambo si sveglia dal coma, a inizio romanzo, ricorda perfettamente le voci enciclopediche e le capitali degli stati, ma – come si è detto – non ricorda nulla di sé, non riconosce la moglie, le figlie, gli amici e non ha ricordi personali. Con la progressiva scoperta del suo passato di lettore e dopo un nuovo malore fisico, invece, il protagonista comincia a ricordare e quindi a raccontare anche episodi personali, legati alla scuola, alle amicizie, al primo amore, al nonno e ad avvenimenti occorsi durante la guerra, con particolare riferimento alla Resistenza.

Le pagine dedicate a questi ricordi sono tanto piene di vita, quanto sono fredde quelle relative alle fasi iniziali della “riscoperta”.
Se vogliamo ben vedere è segno di una grande talento letterario (ma su questo non avevamo dubbio alcuno) il sapere usare un tono assai diverso quando si sta raccontando un’esperienza vissuta in terza persona (per il protagonista del romanzo, infatti, il proprio passato è come se fosse quello di un estraneo) rispetto a quando si raccontano esperienze dichiaratamente e gelosamente personali, ma il romanzo questo doppio tono non sembra reggerlo, e la prima parte del libro è a tratti molto noiosa.
Viene quindi da domandarsi se anche l’autore non soffra un po’ della strana malattia/condizione del protagonista: così come Yambo non ricorda, Eco non osa raccontare e ciò rischia di far sbilanciare il romanzo verso un freddo inventario di letture, nascondendo alcuni passaggi autobiografici splendidi.

È inutile negare, infatti, che in confronto al nonno capace di prendersi la rivincita sul fascista del paese non c’è Flash Gordon che tenga e che la fiamma della regina Loana avrebbe brillato molto di più se il racconto del vissuto avesse avuto la meglio sull’enciclopedismo (seppure popolare) di cui è affetto gran parte del libro.

 

Articolo già pubbicato sulla rivista on line “Erewhon. Arti, letteratura, scienze”.